Buoni Pasto: il Parere Ufficiale Fornito dall’Agenzia delle Entrate

Sempre ai fini dell’esenzione I.R.P.E.F. in discussione, la circ. min. 23 dicembre 1997, n. 326, ha chiarito che per i ticket restaurant “deve essere individuabile un collegamento fra i tagliandi ed il tipo di prestazione cui danno diritto” e che gli stessi devono “consentire soltanto l’espletamento della prestazione sostituiva nei confronti dei dipendenti che ne hanno diritto”.

Obiettivo della previsione agevolativa, di cui all’art. 51, comma 2, lett. c), del T.U.I.R., è infatti quello di favorire i dipendenti che, pur costretti a consumare il pasto nel corso della giornata lavorativa, non fruiscono di un servizio mensa, e, contestualmente, gli imprenditori, al fine di evitare una prolungata assenza dal posto di lavoro da parte dei lavoratori.

Atteso che il dipendente fruisce del servizio mensa proprio per il fatto di osservare un orario di lavoro che comprende la pausa pranzo, la scrivente ritiene logico ritenere che, come nell’ipotesi dell’indennità sostitutiva di mensa (oggetto della risoluzione 30 marzo 2000, n. 41/E), anche per i buoni pasto, che integrano ugualmente una prestazione sostitutiva del servizio mensa, la fruizione di una pausa per il vitto costituisca condizione necessaria ai fini dell’applicabilità della norma che esclude la concorrenza al reddito di lavoro dipendente del buono pasto.

Diversamente, ove l’orario di lavoro non preveda la fruizione della pausa pranzo, i buoni pasto eventualmente corrisposti da parte del datore di lavoro, non essendo destinati a realizzare una prestazione sostitutiva del servizio di vitto, concorreranno alla determinazione del reddito di lavoro dipendente (e della base imponibile contributiva), al pari degli altri compensi in natura percepiti.

Ciò, nel rispetto del principio di onnicomprensività che caratterizza il reddito di lavoro dipendente, recato dall’art. 51, comma 1, del T.U.I.R., il quale prevede che costituiscono reddito di lavoro dipendente “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”.



Quello che si evidenzia leggendo il suddetto parere, è che, secondo l’Agenzia, la disciplina fiscale di vantaggio è valida solo se il buono pasto si utilizza per la pausa pranzo.

Dunque, nel caso in cui il lavoratore durante gli orari di svolgimento delle proprie mansioni non ha diritto o non usufruisce della pausa, non ha nemmeno diritto alla detassazione del buono che invece concorre alla formazione del reddito.

Questo perchè i buoni pasto, rientrando tra le prestazioni sostitutive del servizio di mensa, sono esclusi dal reddito di lavoro dipendente, nei limiti di 7 euro al giorno.

Il punto di vista dell'AdE, è da ricercarsi nel fatto che, per il buono pasto, è necessario che ci sia un nesso tra i tagliandi ed il tipo di prestazione cui danno diritto, visto che deve consentire soltanto l’espletamento della prestazione sostitutiva.

Tale aspetto è stato altresì ribadito dal Ministero delle Finanze attraverso la Circolare del 23 dicembre 1997, n. 326/E, da cui si evince che l’agevolazione, dunque, nasce dal fatto che i dipendenti, pur costretti a consumare il pasto nel corso della giornata lavorativa, non fruiscono di un servizio mensa.

In conclusione, la spesa coi buoni pasto non si può fare, se si tiene presente quanto spiegato in questo articolo, frutto dei punti di vista dell'Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze che non lasciano alcun dubbio sulla questione.




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