Dipendenti Pubblici: Col Jobs Act Potranno Essere Licenziati

licenziamenti pubblica amministrazioneCon il tanto discusso Jobs Act, il piano del Governo per favorire il rilancio dell’occupazione e riformare il mercato del lavoro italiano, approvato la vigilia di Natale, anche gli statali rientreranno nella categoria di lavoratori passibili di licenziamento. Questo è ciò che emerge dalle nuove regole previste nei decreti attuativi.


Infatti, quasi all’ultimo momento, è stata cancellata la norma che ne prevedeva espressamente l’esclusione.

Per chi avesse dubbi in proposito, tale ammissione è emersa da una dichiarazione rilasciata dal relatore al Senato sulla legge per Scelta Civica, che non ha dubbi in proposito.

Sempre secondo lo stesso Pietro Ichino, il testo unico dell’impiego pubblico dispone che, eccezion fatta per le materie delle assunzioni e delle promozioni, soggette al principio costituzionale del concorso, per tutto il resto faranno fede le medesime regole applicate al settore privato.

Di parere diverso il ministro del Welfare Giuliano Poletti e l’attuale ministro della Pubblica amministrazione, che invece ritengono che siano esclusi dalle norme sul Jobs Act tutti i dipendenti pubblici.

Questo perchè, essendo assunti tramite concorso, sono sottoposti a differenti regole.

Se così fosse, già questo basterebbe ad acuire la disparità di trattamento tra chi opera nella PA e chi invece lavora per aziende private.

Avremo dunque lavoratori di serie A e lavoratori di serie B? Oltre a minare il diritto al lavoro sarà pregiudicato il principio di uguaglianza su cui la nostra Repubblica dovrebbe fondarsi?

Ichino dal canto suo, sconfessa Madia e Poletti, affermando che l’assunzione tramite concorso pubblico non ha nulla a che fare con l’eventuale licenziamento.

Chi meglio di lui può saperlo visto che è stato uno dei maggiori artefici del provvedimento, sia in fase di trattativa nelle vesti di relatore che nel ruolo di elaboratore del decreto attuativo?

Inoltre, se si vuole vedere le cose dal punto di vista giuridico, il testo Unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165 del 2001), all’art. 2, comma 2, prevede che “I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e DALLE LEGGI SUI RAPPORTI DI LAVORO SUBORDINATO NELL’IMPRESA”, fatte salve le categorie escluse previste dallo stesso decreto (per es. militari, diplomatici, magistrati, ecc.).


E forse la vera riforma del mondo del lavoro potrebbe essere proprio questa: che tutti i dipendenti, sia pubblici che privati , siano trattati in maniera uguale.

Allo stato attuale infatti, almeno con le regole precedenti, gli statali potevano perdere il proprio posto di lavoro solo in casi veramente eccezionali.

Col jobs act, ancora una volta, l’Italia si rivela il paese in cui le leggi sono meramente discrezionali, poco chiare e lasciate all’interpretazione soggettiva.

Se dovesse prevalere l’ipotesi della non licenziabilità di chi lavora nel pubblico, di certo si apre la strada a miriadi di ricorsi che ne evidenzierebbero l’incostituzionalità, visto l’evidente risvolto discriminatorio.

Ad ogni modo, c’è da dire che, onde scongiurare timori infondati, così come si evince da quanto riportato tra le pieghe del provvedimento:

la nuova disciplina in materia di licenziamenti si applica esclusivamente a operai, impiegati e quadri assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dalla data di entrata in vigore del provvedimento stesso, quindi il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Non cambia nulla dunque per i lavoratori dipendenti che hanno già un rapporto di lavoro: resteranno in vigore le precedenti regole sui licenziamenti, così come erano state modificate nel 2012 dalla riforma Fornero.

Il meccanismo delle tutele crescenti si applicherà però anche alle aziende che superano la soglia dei 15 dipendenti per assunzioni successive all’entrata in vigore del decreto.

Ma mai dire mai, il Jobs Act potrebbe aprire un varco anche verso i licenziamenti retroattivi al Jobs Act, che sicuramente non farebbero piacere a tutti quelli che, dopo aver votato l’attuale esecutivo in cambio di 80 euro al mese, si stanno rendendo conto che anche il posto fisso potrebbe sparire da un giorno all’altro.

Renzi intanto non esclude nulla ed ha affermato a tal proposito che l’ultima parola e dunque la decisione finale spetta al Parlamento.

Magari si ricorderà che in qualsiasi paese degno di essere ritenuto civile, le leggi devono valere per tutti, non solo per qualcuno.

Oppure è più plausibile che, essendo i dipendenti pubblici il cesto dove i politici di sinistra (?) pescano i propri voti (più di 3 milioni, senza contare quelli dei familiari), faranno in modo da escluderli dal provvedimento.

Qualcuno faccia sapere al presidente del consiglio che negli states ai quali lui stesso ha detto di ispirarsi, il licenziamento è valido allo stesso modo sia nel pubblico impiego che nel privato.

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